Perdita dell’udito e declino cognitivo: il punto delle ricerche

La perdita dell’udito legata all’età (presbiacusia) è altamente diffusa ma purtroppo spesso non viene trattata. Circa due terzi degli adulti di età superiore ai 70 anni soffre di problemi legati all’udito ma meno del 20% dei soggetti indossa apparecchi acustici. A questo dato si aggiungono quelli – piuttosto preoccupanti – relativi all’associazione tra perdita dell’udito e cognizione. Recenti studi hanno dimostrato che la presbiacusia è il più grande fattore di rischio modificabile per il declino cognitivo e la demenza; ci si aspetterebbe che la completa eliminazione della perdita dell’udito riduca l’incidenza della demenza di circa l’8%.

L’evidenza suggerisce una relazione causale tra perdita dell’udito e declino cognitivo. Il rischio di declino cognitivo aumenta con l’aumentare della gravità della perdita dell’udito. Questa relazione è stata dimostrata in uno studio trasversale che tuttavia era limitato da una popolazione bianca prevalentemente altamente istruita proveniente da un’unica posizione geografica. Un recente studio supera queste limitazioni, utilizzando un campione multietnico e multicentrico negli Stati Uniti.

METODI DI STUDIO

Lo studio sulla salute, l’invecchiamento e la composizione corporea (Health ABC) è stato fatto su 3.075 individui residenti in comunità (42% neri e 58% bianchi) di età compresa tra 70 e 79 anni quando sono stati reclutati nel 1997-1998. I soggetti sono stati sottoposti sia a valutazione dell’udito che a test cognitivi. I soggetti con demenza sono stati esclusi, lasciando 2.110 soggetti per l’analisi.

L’udito è stato valutato utilizzando l’audiometria a toni puri in cabine audio conformi agli standard ANSI.

Il deterioramento cognitivo è stato valutato ogni 1-2 anni utilizzando test neurocognitivi, tra cui il Digit Symbol Substitution Test (DSST), il Modified Mini Mental State Examination (3MS) e il CLOX1. Il DSST prevede il riempimento di simboli correttamente codificati entro 90 secondi, la valutazione della memoria di lavoro, la velocità motoria, l’attenzione e le funzioni visuo-percettive. Il 3MS valuta una varietà di funzioni cognitive e viene utilizzato come test di screening per il declino cognitivo. Il CLOX1 valuta la compromissione esecutiva chiedendo ai partecipanti di disegnare un orologio all’1:45.

L’analisi ha tenuto conto di ulteriori variabili che possono confondere l’associazione tra perdita dell’udito e cognizione: età, razza, sesso, livello di istruzione, abitudine al fumo, uso di apparecchi acustici, diabete, ictus e ipertensione.

RISULTATI DELLO STUDIO

I 2.110 partecipanti sono stati sottoposti sia a una valutazione dell’udito che a test cognitivi. Di questi partecipanti, 881 avevano un udito “normale”. L’età media dei partecipanti era di 73,5 anni, il 52,3% erano donne e il 37,4% erano neri. La soglia media dell’orecchio con un udito migliore in tutti i soggetti era di 30,1 dB.

Tra i partecipanti di tutti i livelli di udito l’udito peggiore era associato a un declino significativamente più marcato delle prestazioni cognitive nel tempo.

Tra gli 881 soggetti che avevano un udito “normale” l’udito peggiore era associato a un declino più ripido delle prestazioni cognitive nel tempo misurato dal DSST.

PERCHE’ E’ IMPORTANTE

Questo studio fornisce ulteriori prove di una relazione causale tra perdita dell’udito e declino cognitivo che inizia presto, anche nella fase dell’udito “normale”. Sebbene non possiamo essere certi che esista veramente una relazione causale senza studi randomizzati controllati, ci sono diversi percorsi plausibili che potrebbero spiegare la causalità:

  1. La presbiacusia conferisce un rischio di isolamento sociale, che a sua volta può aumentare il rischio di declino cognitivo.
  2. Potrebbe anche causare cambiamenti nella struttura del cervello, come il restringimento del lobo temporale, che aumentano il rischio di declino cognitivo.
  3. Una terza possibilità è che l’aumento della fatica cognitiva nel decifrare suoni e discorsi possa sovraccaricare le risorse cognitive.

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