
Per sentire bene, non sottovalutare il cervello
Tenere una conversazione in un ristorante con un sottofondo rumoroso può essere difficile. Per molti, e soprattutto per chi soffre di ipoacusia, è spesso impossibile. Ma, suggerisce un nuovo studio, con un po’ di pratica possiamo insegnare al cervello a “sentirci” nonostante il frastuono.
La perdita dell’udito, soprattutto quella legata all’età (presbiacusia), può coinvolgere diverse componenti dell’orecchio, per esempio il logoramento delle cellule ciliate poste nell’orecchio interno.
Ma alcune ricerche affermano che in parte il problema potrebbe derivare anche dal cervello. Con l’invecchiamento, il cervello tende a rallentare: si verifica una riduzione del numero e del volume dei neuroni come della morfologia e della quantità delle sinapsi.
Un effetto collaterale di questo invecchiamento è l’incapacità di elaborare alcune parti del discorso, in particolare le consonanti che suonano allo stesso modo e che si trovano all’inizio delle parole, come “b”, “p”, “g” e “d”. Aggiungi al tutto il rumore di sottofondo e molte parole tenderanno a confondersi.
Afferma Nina Kraus direttrice del Laboratorio di Neuroscienze e Audiologia della Northwestern University di Evanston, Illinois. “Il rallentamento dei neuroni ha un impatto soprattutto sulla nostra capacità di sentire in un sottofondo rumoroso perché i suoni che abbiamo necessità di udire sono acusticamente meno rilevanti e il frastuono chiama in causa anche la capacità di ricordare ciò che si ascolta”.
Alcuni studi svolti sugli animali hanno riportato un aumento della velocità neuronale a seguito di un “training uditivo”. basandosi su queste ricerche Kraus e colleghi hanno arruolato 67 persone di età compresa tra 55 e 70 anni in un esperimento. Nessuno di loro presentava alcuna perdita uditiva o demenza. La metà del gruppo è stato sottoposto per circa due mesi a esercizi mirati per allenare il cervello. Gli esercizi hanno aiutato i partecipanti a identificare meglio i diversi suoni del parlato e distinguere tra sillabe dal suono simile, come “ba” o “ta”.
Durante il training i partecipanti dovevano ascoltare parole e frasi con diversi livelli di rumore di sottofondo, e ripetere ciò che avevano sentito.
All’inizio dello studio, tutti i partecipanti sono stati sottoposti a una serie di test per misurare memoria a breve termine, velocità di elaborazione del cervello e capacità di ascolto e comprensione del parlato in un ambiente rumoroso. Dopo 40 ore in 8 settimane, i membri del gruppo di ricerca hanno mostrato miglioramenti su tutta la linea. Qui la ricerca completa.
“Dopo l’allenamento, i tempi di risposta neurali dei partecipanti non sono equivalenti a quelli di un giovane adulto”, dice Kraus, “ma i partecipanti erano comunque in grado di ascoltare, ricordare e comprendere frasi in un sottofondo rumoroso: condizioni che prima dell’allenamento, erano impossibili”.
Afferma Frank Lin , un otorinolaringoiatra della Johns Hopkins University di Baltimora, nel Maryland, non coinvolto nello studio. “I risultati sono importanti, in relazione a recenti ricerche che indicano un legame tra la perdita dell’udito negli anziani e la demenza senile.
“Al momento pensiamo che l’ipoacusia periferica, legata all’età, possa contribuire al declino cognitivo e alla demenza attraverso due percorsi meccanici – isolamento sociale e carico cognitivo”, dice. “Questo studio è assolutamente importante dato l’invecchiamento della popolazione e la necessità di identificare nuovi ed efficaci interventi per ridurre i decessi cognitivi e funzionali legati all’età negli anziani”.